mercoledì 16 febbraio 2011

M'illumino di meno 2011



L'Italia del XVI secolo

Con la formazione della Lega di Cambrai (1508), voluta dal papa Giulio II in funzione antiveneziana, i Francesi fecero ritorno in Italia, destando le preoccupazioni dei principi della penisola. Il pontefice costituì allora una Lega Santa che nel 1513 costrinse gli ingombranti vicini alla ritirata.

Le mire francesi sull'Italia furono ereditate nel 1515 da Francesco I di Valois, che sarà protagonista insieme al rivale Carlo V di una lunga lotta per l'egemonia continentale che avrà in Italia il suo principale teatro.

Col trattato di Noyon del 1516 le due grandi contendenti riconoscevano le rispettive conquiste: alla Francia veniva confermato il possesso del Ducato di Milano, alla Spagna quello del Regno di Napoli. Ma l'accordo non bastò a spegnere le rivalità, che esplosero nuovamente nel 1519 con l'elezione a imperatore di Carlo V, già re di Spagna, Napoli e Sicilia.

Nel 1521 le armate francesi scesero nuovamente in Italia con l'obiettivo di riconquistare il reame napoletano, ma furono sconfitte in numerose battaglie , durante la quale lo stesso Francesco I fu fatto prigioniero e condotto a Madrid per poi essere rilasciato solo dopo la cessione di Milano agli spagnoli (1525).

L'allarme per la crescente potenza degli Asburgo portò alla costituzione della Lega di Cognac, promossa dal papa Clemente VII e siglata dal sovrano francese insieme alle repubbliche di Venezia e Firenze.

Un'alleanza fragile che non fu in grado di evitare il terribile sacco di Roma del maggio 1527, episodio che suscitò orrore e costernazione in tutto il mondo cattolico: i Lanzichenecchi, soldati imperiali di origine prevalentemente tedesca e fede luterana, misero sotto assedio la Città Eterna, che fu espugnata e saccheggiata per giorni. Il papa, asserragliato in Castel Sant'Angelo, fu costretto alla pace con l'imperatore, dal quale ottenne la restaurazione dei Medici a Firenze, dove si era costituita una repubblica (1527-1530).

Il 5 agosto 1529 venne stipulata la pace di Cambrai, con la quale la Francia rinunciava alle mire sull'Italia mentre la Spagna vedeva riconosciuto il possesso di Napoli e Milano.

L'equilibrio fu nuovamente infranto nel 1542, con l'inizio di una nuova fase di conflitti franco-spagnoli in territorio italiano. Gli scontri ebbero esiti alterni, sanciti da deboli trattati di pace e continuarono anche dopo la morte di Francesco I e l'ascesa al trono del suo successore Enrico II nel 1547.

Ma lo scenario internazionale mutò di colpo nel 1556, quando Carlo V abdicò dopo aver diviso i suoi possedimenti fra il figlio Filippo II e il fratello Ferdinando I.

Furono proprio Enrico e Filippo a stipulare nel 1559 la pace di Cateau-Cambrésis, che mise fine definitivamente allo scontro tra Francia e Spagna per l'egemonia europea.

La Spagna consolidò la propria posizione di dominio in Italia, destinata a durare fino al 1714, anno della conclusione della guerra di Successione spagnola e dell'avvento dell'Austria come potenza egemone sulla penisola. La pace chiuse un sessantennio di guerre continue e sancì quella fine della libertà italiana avviata dalla spedizione di Carlo VIII nel 1494.

Da questo momento si può considerare esaurita la parabola del Rinascimento: l'Italia è quasi interamente soggetta alla corona spagnola ed è interessata da quel processo di reazione della Chiesa cattolica al luteranesimo che va sotto il nome di Controriforma.

Il periodo che seguì la fine delle guerre d'Italia - dalla seconda metà del XVI a tutto il XVII secolo - è stato a lungo etichettato come Età della decadenza, una formula per molti versi semplicistica che è stata fatta oggetto di profonda revisione da molti storici del XX secolo.

lunedì 7 febbraio 2011

Figure retoriche

Figure Retoriche

Si chiamano figure retoriche i diversi aspetti che il pensiero assume nel discorso per trovare efficace e viva espressione.

Considerate nel mondo classico come modi di espressione lontani da quelli della comunicazione ordinaria e quotidiana e per questa ragione ascritti solamente al campo della poesia in virtù del loro peculiare “ornato”, oggi le figure retoriche vengono intese in un'accezione più vasta come espressioni particolarmente pregnanti e tali da imporre un'interpretazione che tenga conto del di più di significato di cui sono specificamente portatrici.

Da questo punto di vista, dunque la funzione delle figure diventa essenziale all'interno di un discorso, non tanto per abbellirlo, quanto piuttosto per comunicare ad esso una particolare carica emotiva che incrementi il senso del messaggio.

A evidenziare il particolare valore, da esse, di volta in volta, veicolato, la Retorica, che è la scienza che studia le proprietà del discorso, le ha distinte, tradizionalmente, in figure di parola (a loro volta divise in tropi, figure grammaticali, e figure di costruzione) e figure di pensiero (tra le quali, la similitudine, l'allegoria, l'apostrofe, l'interrogazione e la perifrasi).


Allegoria

(dal greco allegoréin, “parlare diversamente”): figura retorica consistente nella costruzione di un discorso in cui i significati letterali dei singoli termini passano in secondo ordine rispetto al significato simbolico dell'insieme, che generalmente rinvia a un ordine di valori metafisici, filosofici e morali. La peculiarità di un simile procedimento consiste, quindi, essenzialmente nella capacità di trasformare nozioni astratte e significati morali in immagini spesso intensamente pittoriche, che vanno ben oltre il significato di base dei termini che le costituiscono e si sviluppano in una trama pregnante e allusiva. In questo senso, secondo alcuni, l'allegoria sarebbe una sorta di metafora continuata, estesa ad abbracciare un'intera composizione, come è il caso di apologhi, parabole e favole, nonché di opere quali la Divina Commedia di Dante e il Faust di Goethe. Oggi, a questa interpretazione, che affida all'allegoria il compito di trasmettere valori sovrasensibili e nascosti, ma comunque universalmente riconoscibili all'interno di un determinato codice, si sostituisce un'interpretazione più soggettiva, in cui personaggi, esperienze e situazioni particolari, rappresentati come reali e concreti, diventano allusivi di una realtà diversa e più generale senza caricarsi necessariamente di spiegazioni dimostrative e didattiche.

nafora

Anafora : ripetizione della stessa parola all'inizio di versi o di frasi consecutive per conferire risalto al vocabolo ripetuto. Es. Dante ‘Per me si va nella città dolente, per me si va nell'eterno dolore....’

Anastrofe

Anastrofe: rivolgimento. Consiste nell'invertire l'ordine normale di due parole per mettere in risalto uno dei due termini. Es. in greco polemou peri anziché perri' polemou o anche "di me più degno" invece di "più degno di me".

Asindeto

Asindeto: coordinazione tra vari elementi di una frase senza congiunzioni.

Chiasmo

figura retorica che consiste nella disposizione incrociata degli elementi costitutivi di una frase, in modo che l'ordine logico delle parole risulta invertito. Così nel verso di G. Carducci Pianto antico vv 15-16: nè il sol più ti rallegra / nè ti risveglia amor si ha un chiasmo tra la parte nominale delle due proposizioni parallele (il sol e amor) e la parte verbale (ti rallegra e ti risveglia).

Climax

(dal greco climax, “scala”): procedimento retorico che consiste nella disposizione di frasi, sostantivi e aggettivi in una progressione “a scala”, secondo cioè una gradazione ascendente, a suggerire un effetto progressivamente più intenso: es buono, migliore ottimo (dal grado normale dell' aggettivo si passa al grado comparativo e infine a quello superlativo); due, tre quattro (che costituisce la più semplice gradazione, in quanto attuata sul piano numerico). Un simile procedimento risulta particolarmente efficace soprattutto in poesia, dove l'intensificazione del concetto attraverso la progressione naturale dal vocabolo più debole al più forte è incrementata in modo significativo dai valori fonici e ritmici delle parole, come è dato verificare nella celebre chiusa dell' Infinito leopardiano, Così tra questa immensità / s' annega il pensier mio e il naufragar m'è dolce in questo mare.,in cui si attua una gradazione in senso discendente (Anticlimax) attraverso immensità-s'annega-naufragar,che anche ritmicamente riproducono un progressivo abbandono della mente.

Metafora

Metafora: (trasposizione) sostituzione di un termine con una frase figurata legata a quel termine da un rapporto di somiglianza. Es. ‘Stanno distruggendo i polmoni del mondo (per boschi)

Similitudine

(dal latino similitudo, 'somiglianza'): figura retorica consistente in un paragone istituito tra immagini, cose, persone e situazioni, attraverso la mediazione di avverbi di paragone o locuzioni avverbiali (come, simile a, a somiglianza di).

Sineddoche

(dal greco synekdékhomai, 'prendo insieme'): figura semantica consistente nell'utilizzazione in senso figurato di una parola di significato più o meno ampio della parola propria. Fondata essenzialmente su un rapporto di estensione del significato della parola, questa figura esprime:

  • la parte per il tutto (vela invece di 'nave');
  • il tutto per la parte (una borsa di foca, per indicare una borsa fatta di pelle di foca);
  • il singolare per il plurale e viceversa (l'italiano è molto sportivo);
  • il genere per la specie (mortale per 'l'uomo').
Vedi anche Metonimia.

Sinestesia

(dal greco syn, 'insieme' e aisthánestai, 'percepire'): procedimento retorico che consiste nell'associare, all'interno di un'unica immagine, sostantivi e aggettivi appartenenti a sfere sensoriali diverse, che in un rapporto di reciproche interferenze danno origine a un'immagine vividamente inedita: ad esempio:

  • colore caldo (l'impressione visiva è unita a quella tattile);
  • voce chiara (l'impressione acustica è unita a quella visiva);
  • musica dolce (l'impressione acustica è accostata a quella gustativa).

Un simile procedimento, non estraneo alla poesia antica, diviene particolarmente frequente a partire dai poeti simbolisti e costituisce poi uno stilema tipico dell'area ermetica della poesia italiana del Novecento. Tra gli innumerevoli esempi che si potrebbero addurre, basti il celebre 'urlo nero della madre' di S. Quasimodo, in cui due sensazioni diverse, che interessano, la prima (urlo), il campo sensoriale dell'udito, la seconda (nero), quello della vista, si fondono in un'immagine che suggerisce l'idea di angoscia, di disperazione e di paura, in una temperie cupamente drammatica.

Metonimia

Metonimia o metonomia: consiste nell'usare il nome della causa per quello dell'effetto Es. bevo un bicchiere.

Ossimoro

Ossimoro: forma di antitesi di singole parole che vengono accostate con effetti paradossali (es. paradiso infernale, ghiaccio bollente)
• gr. oksymoron, neutro sost. di oksymoros comp. di oksys “acuto” e morós “sciocco” come modello di unione di concetti discordanti.

A scuola di poesia

http://www.kowalski.it/libri/9788874967704/scheda/

Un'idea per studiare la poesia (con tanto di figure retoriche...) in maniera divertente.
Dateci un'occhiata!

lunedì 24 gennaio 2011

La Giornata della Memoria

Il 27 gennaio si celebra in tutta Italia il 'Giorno della Memoria', istituito con legge 211 del 20 luglio 2000, per ricordare la data dell'abbattimento dei cancelli del campo di sterminio di Auschwitz (27 gennaio 1945) e quindi le persecuzioni e lo sterminio del popolo ebraico, la cosiddetta SHOAH, oltre che tutti i deportati italiani nei campi nazisti.

Il testo dell'articolo 1 della legge così definisce le finalità del Giorno della Memoria:

La Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell'abbattimento dei cancelli di Auschwitz, "Giorno della Memoria", al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati.

Nella ricorrenza vengono organizzati incontri, cerimonie di rievocazione dei fatti e momenti comuni di riflessione per mantenere viva la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia dell’Europa e del nostro Paese, per scongiurare il ripetersi di simili eventi.

27 gennaio 1945: liberazione di Auschwitz
Con il termine campo di concentramento di Auschwitz Birkenau si identifica genericamente l'insieme di campi di concentramento e il campo di sterminio costruiti durante l'occupazione tedesco nazista della Polonia nei pressi della cittadina polacca di Oświęcim (in tedesco Auschwitz) che si trova a circa 60 chilometri ad ovest di Cracovia.
In totale furono deportate ad Auschwitz più di 1 milione e 300 mila persone. 900.000 furono uccise subito al loro arrivo e altre 200.000 morirono a causa di malattie, fame o furono uccise poco dopo il loro arrivo.

Il complesso concentrazionario di Auschwitz svolse un ruolo fondamentale nei progetti di "soluzione finale della questione ebraica" - eufemismo con il quale i nazisti indicarono lo sterminio del popolo ebraico (anche se nel campo trovarono la morte anche molte altre categorie di internati) - divenendo rapidamente il più grande ed efficiente centro di sterminio. Oggi quel che resta di quel luogo è patrimonio dell'umanità.

SHOAH
Il termine Shoah è stato adottato solo recentemente per descrivere la tragedia ebraica di quel tragico periodo storico e allo scopo di sottolinearne la unicità rispetto ai molti altri casi di genocidio a cui purtroppo la storia umana tristemente ci ha abituato.

Shoah (in lingua ebraica השואה ), significa “desolazione, catastrofe, disastro”. Questo termine venne adottato per la prima volta, nel 1938, dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla Notte dei cristalli (9-10 novembre 1938). Da allora definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d’Europa.

Il termine si sta sostituendo a quello di Olocausto.
La parola olocausto, sta a significare sacrificio; ossia grave rinuncia deliberatamente sopportata in vista di uno scopo. Per decenni il termine è stato utilizzatoper descrivere il sacrificio di vite umane a cui gli ebrei hanno dovuto sottostare sotto il periodo nazista per giungere all'ottenimento da parte dalla Società delle Nazioni,ora ONU, del diritto a costituire un proprio stato in Palestina.
In greco significa "tutto bruciato", si riferiva ai sacrifici che venivano richiesti agli Ebrei dalla Torah: si trattava di sacrifici di animali uccisi e bruciati sull'altare del tempio. A partire dalla meta del secolo XX il termine olocausto viene utilizzato anche per indicare massacri o catastrofi su larga scala. A causa del significato religioso del termine alcuni, sia ebrei che di altre fedi, trovano inappropriato l'uso di tale termine: costoro giudicano offensivo paragonare o associare l'uccisione di milioni di ebrei ad una "offerta a Dio".

Ma chi è una persona senza memoria?

Conoscere e ricordare la Shoah può essere di valido aiuto per meglio comprendere le ramificazioni del pregiudizio e del razzismo; per realizzare una pacifica convivenza tra etnie, culture e religioni differenti; per permettere anche la maturazione consapevole nei giovani di un’etica della responsabilità individuale e collettiva.

mercoledì 19 gennaio 2011

ANALISI DEL TESTO POETICO



ANALISI DEL TESTO POETICO

1. Linguaggio poetico e linguaggio comune
Avvicinandoci allo studio del testo poetico dobbiamo sottolineare come il principale obiettivo del linguaggio comune sia di trasmettere in modo chiaro, inequivocabile, un particolare messaggio, ad esempio : “Antonio chiudi la finestra!”, il senso del testo è chiaro, chi l’ha codificato si è preoccupato, innanzitutto, di elaborare un testo di facile comprensione per raggiungere l’obiettivo fissato. Nel linguaggio comune il testo diventa uno “strumento” inteso a soddisfare una particolare esigenza, una volta raggiunto lo scopo diventa inutile, possiamo tranquillamente abbandonarlo.
Un discorso completamente diverso bisogna fare per il testo poetico, in questo caso il testo “non è mai uno strumento” finalizzato ad ottenere obiettivi esterni al testo stesso. Il poeta-emittente non si preoccupa di elaborare un testo che sia, innanzitutto, di facile comprensione; il testo non deve essere soprattutto chiaro, la sua funzione non è strumentale; esso ha valore in sé, trova in sé stesso il fine, come d’altronde tutta la produzione che appartiene al mondo dell’arte.
Per aiutarci a comprendere meglio la distinzione tra linguaggio poetico e linguaggio comune leggiamo questa bella pagina tratta da S. Guglielmino, T. S. Silvestrini “Guida alla lettura”, Milano 1988, ed. Principato:
“Il materiale usato dal poeta è lo stesso del linguaggio comune, cioè lo stesso materiale che ci serve ogni giorno e in ogni circostanza per le necessità di comunicazione e di rapporto della vita quotidiana.
Consideriamo di nuovo il verso:
“Dolce e chiara è la notte e senza vento...”
Se noi volessimo esprimere lo stesso contenuto per riferire a qualcuno una nostra esperienza o percezione potremmo dire abbastanza indifferentemente:
“E’ una notte serena e senza vento... “, “La notte è serena e non tira vento...”, “E una notte calma e luminosa” e via cambiando e mutando i termini o il loro ordine e la loro combinazione: il nostro destinatario riceverebbe sia in un modo che nell’altro l’informazione che vogliamo dargli riguardo alla realtà di quella notte e alla nostra percezione della sua bellezza. Questi mutamenti, nel linguaggio comune non intaccano sostanzialmente il senso di quanto si vuole comunicare.
Nel linguaggio poetico invece ogni mutamento di termine, ogni cambiamento nell’ordine delle parole, ogni accostamento, separazione, combinazione, ha un’importanza rilevante perché non è essenziale tanto ciò che si intende comunicare quanto il modo particolare con cui lo si esprime. Questo modo non è necessariamente il più preciso e definito, talora neanche il più chiaro; e non rispetta neppure l’ordine e gli accostamenti più comuni: è invece il più ricco di valori musicali e fantastici.
La parola, nel linguaggio poetico, non viene ricercata per la sua capacità di comunicare ordinatamente informazioni e conoscenze, quanto per le sue possibilità di sprigionare suoni che si leghino ritmicamente agli altri suoni del testo.
Allo stesso modo non si chiede alla parola di definire con precisione un oggetto distinguendolo da altri, ma piuttosto di rappresentarlo evocando tutte le possibili immagini che il significato comporta o che richiama per associazione, o che può suscitare in rapporto ad altri significati presenti nel testo poetico.
Perciò la polisemia di una parola (cioè il suo essere portatrice contemporaneamente di più significati) e l’ambiguità che ne consegue non solo non vengono evitate nel linguaggio poetico, ma sono consapevolmente sfruttate per moltiplicare i rapporti con li altri elementi nel testo poetico.
E’ come un gioco complesso e prezioso di echi e di riflessi, in cui ogni suono e ogni immagine non valgono più per se stessi, ma per tutte le possibilità che suggeriscono. Si costituisce quindi, nel linguaggio poetico, una rete fitta di rapporti così intrecciati tra di loro che non si può togliere un singolo elemento senza mettere in pericolo l’equilibrio del risultato finale. (op. cit. pagg. 70-71)

Anche grazie a quanto abbiamo appena visto cerchiamo di individuare quali sono gli elementi che caratterizzano, e quindi differenziano, un testo poetico da altri tipi di testi. Per comodità osserviamo forma e contenuto in modo distinto, anche se proprio nel testo poetico questi due elementi sono strettamente legati.

Forma

Gli elementi formali che caratterizzano un testo poetico sono:

l’essere scritto in versi
• l’attenzione per le rime, le assonanze e le consonanze
• la scelta dei termini secondo criteri fonici
• sintassi che spesso non segue le regole canoniche
• cura particolare per il lessico

Contenuto

Per quanto attiene al contenuto possiamo dire che non vi sono particolari argomenti che in qualche modo caratterizzano il testo poetico. E’ invece importante sottolineare come in esso il contenuto è strettamente legato alla forma, significato e significante sono tra loro uniti in un’unione inscindibile.
Ogni poesia è l’espressione unica di un particolare poeta, cercare d’esprimere i medesimi contenuti modificando la forma è impossibile, otterremo qualcosa di completamente diverso.

La complessità del testo poetico

Nell’avvicinarci ad un qualsiasi testo poetico dobbiamo ricordare che in esso nulla, o poco, è spontaneo, ogni elemento viene scelto non solo per il significato che porta con sé ma anche:
• per le relazioni che crea con le altre parti del testo
• perché è in grado di suggerire immagini
• sa evocare ricordi
• per la capacità di creare effetti musicali
• perché è in grado di creare associazioni d’idee

Studiare un testo poetico

Proprio per queste peculiari caratteristiche studiare un testo poetico è un’operazione piuttosto complessa, possiamo immaginarla come un percorso suddiviso in diverse fasi o livelli di lettura. La prima parte del percorso è legata all’analisi del testo, mentre la seconda si focalizza sull’interpretazione dello stesso.

Analisi del testo
Data la natura pragmatica del presente testo proponiamo, in modo schematico, un possibile percorso per l’analisi del testo poetico, ogni lettore, con l’esperienza, sarà in grado di crearsi un “proprio” percorso.
Nello schema si noti la distinzione tra lo studio dell’autore e del tempo in cui visse (PARTE I: analisi extratestuale), e l’analisi del testo vero e proprio (PARTE II: analisi testuale).


PERCORSO PER L’ANALISI DEL TESTO POETICO

PARTE I: Analisi extratestuale (o contestualizzazione)

FASE DESCRIZIONE SINTETICA OBIETTIVI NOTE

Prima
Inquadramento storico e socio-culturale Raccogliere quante più informazioni possibili, relative al momento storico e socio-culturale nel quale l’autore è vissuto Conoscere le coordinate storiche e socio-culturali nelle quali un determinato autore è vissuto è di notevole aiuto per la comprensione dei testi poetici che questi ha prodotto
(ad esempio, risulta difficile comprendere compiutamente la poesia Il cinque maggio di A. Manzoni, se non si conoscono la vita e le imprese di Napoleone).

Seconda
Studio della biografia dell’autore Conoscere la vita dell’autore. Vita e opere di un autore non possono essere considerate come due entità distinte, sarebbe un gravissimo errore, la vita si riflette nelle opere e queste ci consentono di comprendere la sua vita, in una unità inscindibile.
La presenza costante di alcuni temi nella poetica di alcuni autori si comprende appieno solo conoscendo la loro vita (pensiamo ad esempio a Pascoli e al tema frequente del nido familiare come fonte di felicità, un tale tema si collega alle tragedie familiari che l’autore ha vissuto quando era ancora ragazzo).

Terza
L’autore e il suo tempo Comprendere i rapporti tra l’autore e i contemporanei I poeti, ma tutti gli artisti in genere, rappresentano figure del tutto particolari all’interno di un gruppo sociale, è importante comprendere quale considerazione avesse il poeta da parte dei contemporanei. Troveremo posizioni che sono lontanissime tra loro, così Manzoni ebbe una notevolissima considerazione, mentre Dino Campana venne, per tutta la vita, considerato disturbato mentalmente.
Studiare il rapporto tra autore e contemporanei è importante anche perché bisogna ricordare che erano i contemporanei i reali destinatari del testo.
Non bisogna poi dimenticare che il testo potrebbe essere stato scritto per una particolare occasione.

Quarta
Analisi della produzione complessiva e collocazione del testo da studiare Collocare correttamente, all’interno della produzione complessiva dell’autore, il particolare testo poetico da studiare E’ importante avere una visione d’insieme delle opere prodotte dall’autore per comprendere il testo da analizzare. Se visto come parte di un insieme, e se collocato correttamente, diventa più facile comprendere il senso del testo.

Quinta
Studio della poetica Conoscere gli elementi essenziali che ci consentono di comprendere la poetica dell’autore Possiamo considerare la poesia studiata come un frammento della produzione del poeta, ebbene per comprendere quel frammento è necessario conoscere le linee guida del pensiero dell’autore, i temi più frequenti, l’uso del lessico, ecc.


PERCORSO PER L’ANALISI DEL TESTO POETICO
PARTE II: Analisi testuale

FASE DESCRIZIONE SINTETICA OBIETTIVI NOTE
Prima
Prima lettura Conoscere il testo In questa prima fase si legga il testo, lettura espressiva, cercando di evidenziare le pause e gli accenti per coglierne il ritmo.

Seconda
Prima comprensione. Comprendere il significato del testo “traducendolo” in prosa (fare la parafrasi) Nella seconda fase dobbiamo fare la parafrasi del testo. Parafrasi deriva dal greco paràphrasis e significa “frase posta vicino”. Nel fare la parafrasi dobbiamo ricordare che questa ha una propria indipendenza dal testo di riferimento, ci consente di individuare i contenuti del testo, ma da questo se ne distingue sia per la struttura, sia per il lessico. Dobbiamo inoltre ricordare che stiamo riscrivendo in prosa i contenuti del testo poetico, se in quest’ultimo le regole sintattiche spesso sono trascurate, non altrettanto deve avvenire per il testo in prosa.
Per fare la parafrasi consigliamo di:
• chiarire il significato di ogni singola parola o delle espressioni non immediatamente comprensibili, parole nuove, insolite, ecc;
• ricostruire la situazione complessiva dei fatti o delle emozioni rappresentate nel testo;
• ricercare un'espressione semplice e chiara, di un linguaggio comune, per ogni punto della poesia;
• ricercare il messaggio profondo del testo;
• individuare una chiave interpretativa che riveli il senso delle immagini poetiche

Terza
Individuazione dei nuclei tematici. La parafrasi ci consente di individuare quelli che possiamo definire nuclei tematici della poesia. Solo se saremmo in grado di individuare correttamente i nuclei tematici potremmo comprendere il significato complessivo del testo.

Quarta
Individuare e definire gli elementi metrici e strutturali presenti. In questa fase dobbiamo individuare:
1. il tipo di componimento (sonetto, ballata,
schema libero, ecc.)
2. la natura dei versi presenti
3. la posizione dell’accento ritmico, le
pause e gli enjambement

Quinta

Studio delle figure retoriche Individuare le eventuali figure retoriche presenti, cercando di comprendere quale significato l’autore intendeva attribuire alle diverse figure In quest’ultima fase cercheremo nel testo quelle che vengono definite “figure retoriche”, ossia quelle forme stilistiche usate dall’autore per ottenere particolari effetti. Il nome “retoriche” deriva dal fatto che tali figure furono studiate e codificate dalla Retorica antica (ricordo che presso i Greci e i Latini la Retorica era una materia di studio, coincidente con l’arte del parlare e scrivere con efficacia persuasiva)
Le figure retoriche che possiamo trovare nei testi poetici sono:
1. figure di suono (rima, assonanza,
consonanza, allitterazione, onomatopea)
2. figure sintattiche (anafora, ellissi,
enumerazione, climax, anastrofe,
iperbato, chiasmo)
3. figure di significato (similitudine,
metafora, analogia, sinestesia, metonimia,
sineddoche, ossimoro, iperbole, litote)


Dall’analisi all’interpretazione

Dopo l’analisi del testo possiamo passare alla sua interpretazione. Il testo analizzato viene ora osservato secondo quattro diverse chiavi di lettura:
• in relazione alla produzione poetica dell’autore
• in relazione alla produzione poetica del tempo
• in relazione alla produzione poetica in generale
• in relazione al mio rapporto con quel particolare testo
Rispetto all’analisi è necessario sottolineare come il momento dell’interpretazione sia più complesso, per interpretare è necessario avere una visione d’insieme che solo uno studioso è in grado d’avere. Quando scrivo “interpretare” intendo perciò conoscere le interpretazioni date dai critici letterari.

Giovedì e sabato...

Giovedì:
In Storia studiate con attenzione il capitolo della Riforma protestante e della Controriforma.
Per aiutarvi potete guardare anche gli esercizi alla fine del capitolo.

Siate preparati su termini e concetti:
ad es.
Cosa si intende con riforma protestante (chi/ quando/dove/ perché), con luteranesimo, calvinismo, chiesa anglicana, controriforma

Chi è Martin Lutero/ Giovanni Calvino/Enrico VIII

Quali sono i capisaldi del luteranesimo...

Sabato
In Epica interrogo e procediamo con un altro canto della Commedia. Ricordate sempre di rivedere i concetti principali di quanto già fatto.
In Grammatica riprendiamo l'analisi logica
In Geografia continuiamo con il terziario e... interrogo!

lunedì 17 gennaio 2011

PROPOSTA PER MARTEDI SERA

Ciao a tutti!
Vi inserisco il link dove trovare le informazioni riguardo il cinema di domani sera (alle 21.15)!

http://www.cinemacorallomonselice.it/Film2.htm

Ricordo che la partecipazione è assolutamente libera,

a domani

la prof

giovedì 13 gennaio 2011

Enrico VIII

Enrico Tudor, uno dei più influenti sovrani della storia moderna, nacque il 28 giugno 1491 a Greenwich. Dopo la morte di suo fratello maggiore Arturo nel 1502, Enrico divenne erede al trono inglese. Sette anni più tardi suo padre Enrico VII morì, lasciandogli il trono d'Inghilterra con il nome di Enrico VIII. Poco dopo si sposò con la vedova di suo fratello Arturo, Caterina d'Aragona. Enrico da questo punto in poi fece sempre più spesso affidamento sui consigli dello scaltro Thomas Wolsey, che in molti casi decideva per il re, e che venne nominato per questo come Lord Cancelliere del Regno nel 1515.

La guerra con la Francia si dimostrò molto più costosa e difficile del previsto e con la necessità di Enrico di avere un erede maschio, l'influenza di Wolsey sul re calò drasticamente.


Il re era determinato a sostituire Caterina, da cui ebbe solo una figlia, Maria (la futura Maria la Sanguinaria) ma il Papa gli rifiutava di concedergli il divorzio. Nel 1533, Enrico andando contro la Chiesa di Roma ripudiò Caterina e sposò Anna Bolena, dalla quale ebbe anche in questo caso una unica figlia, Elisabetta (la futura Elisabetta I).

Il Papa per questo gesto scomunicò il re andando a una spaccatura insanabile che portò allo scisma tra la Chiesa Cattolica e la Chiesa Inglese che passò sotto il diretto controllo del monarca. Il Parlamento Inglese ratificò la decisione di rompere i rapporti con Roma.

Enrico diventò lui stesso capo della Chiesa d'Inghilterra e avviò la dissoluzione e lo scioglimento di tutti i monasteri del regno (ancora oggi, di molti di questi monasteri, si possono ammirare le imponenti rovine), inglobando tutte le loro enormi fortune, oltre che tutti i possidenti in generale della Chiesa. In molti casi i monaci e gli uomini di chiesa in genere che si rifiutarono di giurare fedeltà al re vennero messi a morte.

Dopo soli tre anni Enrico cominciò a stancarsi di Anna Bolena, facendola condannare per adulterio e tradimento alla pena capitale. Dopo solo un anno il re si risposò per la terza volta con Jane Seymour, la quale gli diede un erede maschio Eduardo, che tuttavia morì dandolo alla luce.


I sentimenti religiosi di Enrico a dispetto delle circostanze, rimasero cattolici, nonostante il fatto che molti a corte e nella nazione avevano ormai abbracciato il protestantesimo.

Gli anni finali di Enrico testimoniarono il decadimento fisico e a tratti mentale del re. Nel 1540 si sposò per la quinta volta, con Catharine Howard ma anche lei fu trovata a flirtare con una sua vecchia fiamma e giustiziata per tradimento due anni dopo. Il re si sposò per la sesta e ultima volta con Catherine Parr. Ci furono altre inutili e costose guerre con la Francia e con la Scozia che non portarono alcun vantaggio all'Inghilterra. Enrico, ormai afflitto da diversi problemi fisici morì il 28 Gennaio 1547, gli successe suo figlio Edoardo, ancora giovanissimo.

mercoledì 12 gennaio 2011

Linguaggio denotativo e connotativo

Le parole, in poesia, assumono due tipi diversi di significato: quello denotativo e quello connotativo. Il primo è il significato vero e proprio del termine, il secondo sono i vari significati che la parola può assumere a seconda del contesto

In linguistica ogni parola può essere analizzata sotto due punti aspetti, quello denotativo e quello connotativo.

La denotazione è il semplice significato letterario di un termine; per cui “siepe”, per esempio, è “una fila di arbusti disposta a recingere apprezzamenti di terreno”.

La connotazione è, invece, il contenuto emotivo, l’alone di suggestioni che caratterizza un termine e per estensione un testo. Per cui la siepe in Leopardi acquista un alto valore emotivo, aprendo lo spazio all’infinito.

Naturalmente il carattere connotativo di un termine è un fenomeno assolutamente personale, soggettivo.

In poesia l’aspetto connotativo è spesso più importante di quello denotativo. Ne consegue un’altra differenza rispetto alla prosa: la poesia agisce in maniera differente in ognuno di noi, perché ciascuno interpreta – in rapporto alle proprie esperienze di vita – a livello connotativo una poesia diversamente. In sostanza, una poesia può suscitare ricordi ed emozioni privati.

Una poesia è, di conseguenza, un’opera aperta, che travalica il significato che il poeta stesso gli ha dato. Essa si sgancia dal suo ideatore e diventa patrimonio di tutti. Ecco perché la poesia è universale, dal momento che tutti gli uomini hanno provato nella propria vita determinate emozioni, avuto certe esperienze.



Significato denotativo

Significato connotativo

Leone

Animale dei felini, fulvo, col capo grosso, coperto nei maschi da lungo pelo, formante giubba o criniera.

Simbolo della forza e del coraggio (Quell’uomo si è battuto come un leone)

Aver avuto un ruolo preminente

(Ha fatto la parte del leone)

Fegato

Voluminosa ghiandola del corpo umano ed animale che segrega la bile; è situata nell’addome subito sotto il diaframma.

Come sinonimo di coraggio.

(Quella ragazza ha avuto fegato)

Rodersi di rabbia

(Mangiarsi il fegato)

Liquido

Aggettivo dei corpi fluidi che, composti di molecole scorrevolissime e dotate di scarsa coesione, non hanno forma propria, ma prendono quella dei recipienti che li contengono o, liberi, si spandono in superficie piana.

Denaro liquido

Denaro in contanti

Consonanti liquide

Di suono scorrevole

Il luteranesimo

Chi sono i Luterani?

Per luteranesimo si intende la teologia sviluppata dal monaco agostiniano Martin Lutero e le dottrine professate dalla chiese evangelico-luterane nate dalla Riforma protestante del XVI secolo.

Secondo la tradizione, il 31 ottobre del 1517 Martin Lutero affisse alla porta della chiesa del castello di Wittenberg, 95 tesi sfidando gli insegnamenti della Chiesa cattolica romana sulla natura della penitenza, l’autorità del papa e l’utilità delle indulgenze. L’azione di Lutero fu in gran parte una risposta alla vendita di indulgenze promossa da papa Leone X per finanziare la costruzione della basilica di San Pietro.

Queste tesi, inizialmente scritte per sollecitare una disputa accademica, furono tradotte e divulgate in tutta la Germania e oltre, dando l’avvio a un grande movimento di riflessione teologica, di protesta spirituale e politica contro la Chiesa romana. L’intenzione di Lutero, comunque, non era quella di fondare una nuova Chiesa bensì quella di riformare quella esistente da capo a piedi.

La rottura definitiva con Roma avvenne nel 1520 quando Lutero, minacciato di scomunica con bolla papale, bruciò, davanti agli studenti di Wittenberg, la bolla.

Il 3 gennaio 1521 fu definitivamente scomunicato. Seguì la messa al bando da parte dell’imperatore, sempre nel 1521.

All’epoca la Bibbia e la messa erano in latino e quindi solo pochi dotti potevano accostarsi alle Sacre Scritture. Grazie alla coeva invenzione della prima macchina per stampa a caratteri mobili, Lutero, insieme ad amici esperti delle lingue bibliche, tradusse la Bibbia in tedesco avvicinando i fedeli alla sua comprensione ed evidenziando le contraddizioni tra l’operato del clero e la dottrina cattolica.

Nel 1530, il ramo luterano del movimento della Riforma protestante, presentò alla dieta di Augusta il suo principale documento di fede, la “Confessione Augustana”.

Dopo la morte del fondatore il luteranesimo si frammentò in diversi blocchi (puristi, moderati, estremisti, mistici, pietisti, ecc) entrando anche in conflitto con il calvinismo di origine ginevrina.
Con la Pace di Augusta (1555) si riconobbe la religione del principe di ciascun territorio dell’impero come religione di tutti i sudditi (cuius regio, eius religio) legittimando definitivamente il luteranesimo.

Esso si diffuse rapidamente in quasi tutti gli stati germanici. In Scandinavia (Danimarca, Svezia, Norvegia) ebbe un carattere più tradizionalista mantenendo molte delle strutture ecclesiastiche cattoliche.
Il paese extra-europeo dove il movimento ebbe maggior successo furono gli Stati Uniti d’America grazie alle migrazioni di tedeschi e scandinavi. Vi sono forti presenze luterane anche in Brasile, nell’America Centrale, in Tanzania, in Etiopia e in Papua - Nuova Guinea.


La dottrina di Lutero si riassume in quattro citazioni che vengono condivise anche dalle altre chiese provenienti dalla Riforma del ‘500:
- sola fide: l’uomo ottiene la propria salvezza solo con la fede in quanto, schiavo del peccato originale, è incapace di salvarsi in virtù delle proprie forze o con il proprio agire;
- sola gratia: la fede è un dono esclusivo della grazia di Dio;
- solo scriptura: la fede trova il suo fondamento solo nella parola di Dio, la Sacra Scrittura, e non già nella sua interpretazione da parte del magistero della Chiesa o nella tradizione storica;
- solus Christus: non vi è alcun salvatore e mediatore indicato da Dio al di fuori di Gesù Cristo.

Alla Bibbia è riconosciuta l’autorità suprema in materia di fede e di etica, tanto che la comunità accetta come sacramenti soltanto il battesimo e la cena del Signore, considerandoli istituiti direttamente da Cristo sulla base dei dati biblici. Particolare importanza ha il sermone come illustrazione della parola di Dio.
Nella celebrazione dell’Eucaristia, chiamata Santa Cena, tutti i partecipanti si comunicano sotto entrambe le specie del pane e del vino e, a differenza di altre denominazioni protestanti, il luteranesimo non nega la presenza reale del corpo e del sangue di Cristo nelle due sostanze che dopo la consacrazione ‘coesistono’ in unione tra loro (consustanziazione). Mentre per il cattolicesimo la transustanziazione è conversione “in toto” della sostanza del pane e del vino nella sostanza del corpo e sangue di Cristo, mantenendo invariato solo l’aspetto esteriore.
Diversamente dal cattolicesimo, la funzione sacerdotale è attribuita simbolicamente all’intero popolo dei credenti, in virtù del Battesimo. Il pastore è pertanto un semplice ministro di culto e non è tenuto al celibato.
In quasi tutte le chiese luterane nel mondo è riconosciuto anche il ministero pastorale delle donne.
Conseguenza diretta del valore non meritorio attribuito alle opere e ai meriti è il rifiuto del culto dei santi.


PROGRAMMA SETTIMANALE

Come vedete, sono riuscita a rientrare nel blog...
Quindi, procediamo con l'agenda settimanale!!!

Giovedì
Riguardate bene i paragrafi su Martin Lutero e il luteranesimo. Preparate con cura le 4 domande e concentratevi sulle risposte.
Continuo la spiegazione ed interrogo eventuali volontari che vogliano recuperare.


Sabato
Geografia: consegno le verifiche e procedo con la spiegazione del settore terziario
Epica: analizziamo insieme un altro canto dell'Inferno (L'ultimo viaggio di Ulisse, canto XXVI)
Grammatica: correggiamo gli esercizi e procediamo con l'analisi logica (tenete sotto mano la fotocopia con i diversi complementi)