domenica 7 novembre 2010

Il settore primario

Il settore primario comprende l’agricoltura, l’allevamento, la pesca e lo sfruttamento delle risorse forestali, tutte attività che praticano la raccolta o la produzione di risorse biologiche, al fine di un loro utilizzo immediato o per una loro successiva trasformazione.

Sono incluse nel settore primario anche l’estrazione dei minerali e delle risorse energetiche, cioè materie prime che devono necessariamente subire una lavorazione industriale, e per questo motivo le statistiche preferiscono trattarle nel settore secondario.

Potenziale produttivo delle terre nel settore primario.

L’agricoltura è un’attività di primaria importanza, indispensabile per la sopravvivenza degli uomini; tuttavia la distribuzione delle coltivazioni nel mondo è molto irregolare.

Delle attività umane l’agricoltura, con l’allevamento è la più legata ai fattori fisici dell’ambiente: clima, rilievo e suolo agrario. Il clima assume un’importanza determinante per l’agricoltura, in quanto i vegetali per svilupparsi hanno bisogno di calore e di acqua.

In relazione al tipo di clima e di suolo si possono distinguere nel mondo diverse zone agricole, le regioni equatoriali, le regioni tra l’equatore e i tropici, mediterranee, monsoniche, temperate, desertiche e desertiche fredde.

Ci sono vari tipi di agricoltura: estensiva ed intensiva. Nell’ agricoltura intensiva si punta con ogni mezzo a ottenere rese elevate da superfici poco estese. Questo modo di gestire la terra viene praticato soprattutto in Europa e in Estremo Oriente, cioè in regioni agricole e naturali in cui gli spazi sono limitati e la densità di popolazione è elevata. L’agricoltura estensiva viene invece praticata dove esistono grandi disponibilità di terreno e scarsità di manodopera: in questo caso, grazie alla meccanizzazione spinta, si preferisce puntare a elevate produzioni con alti tassi di produzione pro capite, ma basse rese unitarie. Questa forma di agricoltura è tipica di Paesi che dispongono di vaste superfici, come gli Stati Uniti (agro industrie americane) la Russia e l’Ucraina, e che si limitano per lo più alle produzioni agricole di base: cereali e piante industriali.

Si possono identificare inoltre varie forme di agricoltura. L’agricoltura tradizionale, ha come caratteristiche distintive un largo impiego di manodopera e un basso livello di produttività. Spesso fa ricorso alla coltivazione di prodotti diversi in ciascun’unità produttiva, così da garantire l’ autoconsumo , generalmente affiancata dall’allevamento di un piccolo numero di animali utili per integrare la dieta alimentare, fornire concime naturale per i campi ed energia per svolgere i lavori più faticosi.

L’agricoltura moderna può anche essere definita come commerciale, essendo finalizzata esclusivamente alla vendita di prodotti.

Nella grande maggioranza dei casi, essa si identifica con l’agricoltura capitalistica. L’agricoltura commerciale viene praticata principalmente in Europa, dove prevalgono le aziende di piccole e medie dimensioni e nel Nord America, dove invece sono maggiormente diffuse le grandi aziende.

L’agricoltura di sussistenza si pratica nella fascia intertropicale e come scopo primario ha l’autoconsumo da parte degli stessi produttori.

La bassa produttività non consente di avere eccedenze da vendere, e ciò determina una mancanza di denaro che a sua volta impedisce ogni miglioramento nella produttività agricola.

Nel settore agricolo, attorno all’anno mille, vi fu una consistente ripresa e molte terre abbandonate vennero nuovamente messe a coltura.

Vi fu un consistente aumento della produttività che fu talmente rapido da meritare l’appellativo di rivoluzione.

Analogo processo si ebbe nel 1700 un’ulteriore innovazione ed un processo di privatizzazione delle terre che determinò una forte accumulazione di capitali da permettere investimenti anche in campo industriale.

Per integrare le proprie esigenze nutritive, l’uomo primitivo ricorreva alla caccia. Attualmente vengono privilegiate le attività zootecniche.

Le specie animali di maggiore importanza economica sono quattro, bovini, ovini, caprini e suini, ma rilevante è pure il ruolo degli equini, dei cammelli e degli animali da cortile. Nelle varie regioni della Terra l’allevamento viene praticato in modi molto differenti, legati non solo alle condizioni ambientali, ma anche al livello di sviluppo economico e alle diverse culture.

L’allevamento tradizionale, o pastorizia, si basa su animali scarsamente selezionati, alcuni dei quali sono adibiti ai lavori agricoli.

Questa forma di allevamento può essere praticata in forma nomade oppure sedentaria.

La prima prevale dove in quei territori che, per cause climatiche o morfologiche, non sono adatti all’agricoltura, quindi vi si allevano animali di modeste pretese alimentari, come le capre, la pecora e il cammello che si accontentano di pascoli magri e perfino di semplici arbusti.

Nei paesi sviluppati è invece diffuso l’allevamento moderno, caratterizzato dalla presenza soltanto di capi selezionati e ad alta resa produttiva.

Nelle aree a bassa densità demografica, dove sono disponibili grandi superfici libere, si pratica di preferenza l’allevamento estensivo.

L’allevamento intensivo è invece tipico delle regioni a elevata densità demografica, come il nord-est degli Stati Uniti e L’Europa centrale

Dopo agricoltura e allevamento, la principale attività primaria è la pesca.

Essa preleva dal mare immensi quantitativi di ittiche.

Esiste anche una pesca nelle acque interne, il cui ruolo economico è ridotto. Il suo interesse è soprattutto sul piano qualitativo, sia per il pregio delle varietà pescate, sia per l’elevata richiesta di alcuni sottoprodotti, in primo luogo il costosissimo caviale

Maggiore è il ruolo dell’acquacoltura, che fornisce ormai un quarto del pescato mondiale e presenta ritmi di crescita talmente intensi da far prevedere che, tra breve, supererà la pesca.

Le foreste mondiali, estese su meno di un terzo delle terre emerse, forniscono una risorsa di notevole importanza economica, il legno.

A prima vista si tratta di una risorsa rinnovabile, perché la natura provvede costantemente a far crescere gli alberi, ma l’attuale consumo di legname segue ritmi talmente intensi da non dare il tempo alle foreste di ricrescere.

Per questo motivo la deforestazione viene sempre più considerata un rischio di tipo ambientale.

Nei paesi poveri il problema della deforestazione è spesso sottovalutato, passando in secondo piano rispetto all’esigenza di ottenere un vantaggio economici dall’esportazione del legname.

Sotto il profilo qualitativo, le risorse forestali si differenziano in due grandi categorie: il legno duro e il legno tenero.

Il primo è difficile da lavorare, ma è anche molto pregiato.

Il secondo, a sua volta, trova largo impiego come materiale da lavoro nell’industria edilizia.

La produzione mondiale di legno, pari a 3,5 miliardi di metri cubi annui, comprende anche la legna da ardere, il cui consumo riguarda circa la metà del quantitativo totale.

Questa forma di utilizzo è minima nei Paesi sviluppati, dove è stata sostituita da altre fonti energetiche, ma nei Paesi scarsamente industrializzati la legna da ardere rappresenta ancora il principale tipo di combustibile, soprattutto a livello domestico.